L'EVOLUZIONE DEL BICILINDRICO

Storicamente legato al concetto stesso di moto, il motore a due cilindri ha sempre dimostrato una polivalenza unica, adattandosi nel tempo agli impieghi più disparati. I perché e i come di un’evoluzione lunga più di un secolo.

Il bicilindrico ha fatto quasi subito la sua apparizione nel settore motociclistico, già alla fine dell'Ottocento, ma è solo all'inizio del secolo scorso, con la definizione stabile del posizionamento del propulsore in mezzo al telaio, che questo frazionamento diventò una presenza più frequente sulle moto.
 
Soprattutto all'inizio dell'epopea della motocicletta, quando un veicolo a motore era comunque, per definizione, un lusso riservato a una fetta comunque ristretta del mercato, il problema dei costi era sentito in misura non pressante, e ciò ne facilitò la sua diffusione, soprattutto nella configurazione a V longitudinale che si prestava tanto bene a essere inserita all'interno dei telai di derivazione ciclistica di allora.
In seguito, tanto i telai quanto i motori conobbero una rapida evoluzione tecnica, e cominciarono ad apparire macchine prestigiose, rifinite e prestazionali. Allo scoccare della Seconda Guerra Mondiale si erano già imposte nelle competizioni europee le Guzzi 500 bicilindriche a 120°, mentre l'inglese Triumph aveva già presentato il suo bicilindrico parallelo a quattro tempi di 350 cc.
Dopo il conflitto non era il caso di sperperare: solo l'americana Harley poteva mantenere i due, per l'epoca enormi, cilindri nati all'inizio del secolo, mentre i russi copiarono le BMW 750 utilizzate dalla Wermacht durante la guerra, e gli inglesi della Vincent stupivano il mondo con la Black Shadow di 1000 cc e 200 km/h.

In Europa, comunque, fino alla fine degli anni Sessanta un comune mortale poteva aspirare, a prezzo di sacrifici notevoli, a una signorile BMW, poco sprintose ma molto affidabili, oppure a una inglese (BSA, Norton, Triumph) decisamente più prestazionale ma anche molto più problematica da mantenere efficiente.
Solo a partire dagli anni Settanta si farà prepotente la spinta tecnica dei giapponesi, che prima prendono ispirazione dai modelli britannici e poi evolvono i loro prodotti in modo sempre più autonomo (Yamaha XS, Honda CB, Kawasaki Z, Suzuki GS), gettandosi anche nelle piccole e medie cilindrate con motori a due tempi (Yamaha RD, Suzuki Titan) che sbaragliarono una concorrenza, soprattutto italiana, di monocilindriche aste e bilancieri.

Saranno però proprio gli italiani, negli anni seguenti, a dimostrare che con un bicilindrico si possono fare anche moto sportive: Guzzi, Morini, Ducati.

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